Oggi vi invito a restare in Italia e vi parlo degli “Scugnizzi” di Vincenzo Gemito che sono secondo me un modo davvero diretto ed efficace per far conoscere la scultura del XIX secolo ai nostri ragazzi.
La scultura di questo periodo interpretรฒ e rappresentรฒ, con il linguaggio delle discipline plastiche, i medesimi soggetti che si trovano in pittura. La ricerca si spostรฒ dai temi classici di natura storica, religiosa o celebrativa alla raffigurazione della quotidianitร . Questo non significa che la scultura della seconda metร dellโOttocento corrispose allโImpressionismo o al Realismo in pittura. Sarebbe sbagliato pensare di poter trovare nella scultura la luce degli impressionisti o la pennellata dei macchiaioli. Quello che intendo รจ che anche la scultura iniziรฒ ad allontanarsi dalla tradizione e fu caratterizzate da linguaggi personali che riflettevano con grande libertร la ricerca estetica di ciascuno ma anche e soprattutto il vissuto dellโartista. Emblematico in tal senso il caso di Vincenzo Gemito.
Vincenzo Gemito avrebbe dovuto chiamarsi Vincenzo “Genito”, nel senso di โgeneratoโ, come tutti i trovatelli che venivano lasciati a Napoli nella โruotaโ del Convento della Nunziata dalle madri che non potevano allevarli. Ma per un errore il suo cognome fu trascritto โGemitoโ e cosรฌ rimase.
Adottato da una popolana, fu allevato con amore e dopo aver provato diversi lavori, iniziรฒ a fare lโapprendista presso la bottega di Stanislao Lista, scultore realista. Lโopera di Vincenzo maturรฒ dunque in questo ambiente e fu di conseguenza unโopera dedicata al โveroโ, nel senso piรน autentico del termine. Egli seppe raccontare in maniera spontanea la realtร della sua gente, soprattutto dei giovani โscugnizziโ che abitavano nei vicoli di Napoli e frequentavano il giardino del Monastero di SantโAndrea delle Dame, dove aveva il suo studio. Essi furono i suoi primi modelli. Gemito fu capace di unire temi moderni a uno stile non troppo lontano da quello classico che apprese studiando dal vivo la scultura antica, nei vicini scavi archeologici di Pompei.
Tra le sue opere che oggi mi piace raccontarvi, Il Pescatorello, del 1877, in bronzo, conservato a Firenze al Museo Nazionale del Bargello. Appartiene a quella serie di sculture che Vincenzo realizzรฒ negli anni โ70, aventi per soggetto giovani pescatori. Si tratta sempre di ragazzi in pose naturali, come se lโartista li avesse sorpresi a pescare e avesse fermato il tempo nel bronzo della scultura. Quest’opera in particolare gli procurรฒ notevole successo poichรฉ fu esposta al Salon di Parigi. Osserviamo. Il giovane, in bilico su uno scoglio, stringe al petto il suo bottino di pesciolini guizzanti. I capelli sono bagnati, disordinati ed egli guarda le sue mani, escludendo lo spettatore dalla scena. La scena mostra grande naturalismo. Il bronzo non รจ stato lucidato, appare scuro e tuttavia riflette la luce creando ombre soprattutto sul viso e sulle gambe.
Diversa dalla precedente “Lโacquaiolo”, del 1881, sempre in bronzo, esposta a Parigi al Musรฉe dโOrsay.
Anche se sono trascorsi pochi anni, in questo lavoro Gemito dimostrรฒ di avere approfondito lo studio della scultura classica, curando maggiormente i dettagli e le proporzioni, oltre che rendendo la superficie dellโopera piรน liscia e lucida. Il riferimento a Roma e quindi agli studi che svolse a Pompei รจ particolarmente evidente nella nuditร del fanciullo, che ricorda quella dei numerosi fauni rinvenuti ai piedi del Vesuvio, ma anche nella fontana sulla quale il giovane sta in bilico, decorata con un mascherone. Lo scultore tuttavia, e questo รจ lโaspetto interessante, non copiรฒ mai lโantico ma lo utilizzรฒ come fonte dโispirazione per raccontare le storie dei suoi โscugnizziโ.
Il successo di questi lavori giunse alle orecchie della Corona Sabauda e fu cosรฌ che nel 1885 ricevette l’incarico di realizzare per il palazzo Reale di Napoli, una statua effigiante Carlo V d’Asburgo. Per volere di Umberto I infatti, nelle otto nicchie del prospetto principale dovevano essere ospitate altrettante statue raffiguranti i piรน illustri sovrani delle varie dinastie ascese al trono partenopeo. Questo incaricรฒ buttรฒ in confusione l’artista, giร reduce da un grave lutto e impreparato a un tema di tipo accademico. Pochi anni prima infatti, era prematuramente morta per tisi la sua amata modella e compagna Matilde Duffaud. Frastornato dall’insolita tematica storica, l’artista non riuscรฌ a portare a termine l’opera, troppo lontana dalla poetica dei vicoli di Napoli e dei tanti scugnizzi che lo avevano sempre circondato. Si chiuse in una clinica psichiatrica, dove rimase per vent’anni.
D’Annunzio gli fece visita e con queste parole lo ricordรฒ nel “Notturno”: “Lo vedo in una stanza angusta come una cella, agitarsi tra porta e finestra col movimento continuo della fiera in gabbia”.
Uscรฌ dalla clinica solo nel 1909 e riprese timidamente a disegnare e scolpire. Quella della tradizione classica era perรฒ diventata quasi un’ossessione e i suoi ultimi lavori ne parlano. Nel 1928, l’anno prima di morire, scrisse: Se all’artista manca la cognizione del passato non potrร mai fare un capolavoro”.
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