C’è qualcosa di malinconico nelle Nanas di Niki de Saint Phalle, quelle grandi e colorate donne in poliestere che abitano in poche fortunate località in giro per il mondo e nel sognante Giardino dei Tarocchi di Capalbio (GR).
Ma per comprenderlo bisogna conoscere la storia di Niki de Saint Phalle, colei che le disegnò e realizzò a partire dal 1965 e fino alla sua morte, il 21 maggio 2002.
Niki nacque in Francia, a Neuilly-sur-Seine, il 29 ottobre 1930, in una famiglia aristocratica. Suo padre lavorava a Wall Street e sua madre era una ricca ereditiera. La famiglia passava gli inverni in America e le estati in Europa presso il castello dei nonni, così da godere appieno delle stagioni nei due continenti. La giovane crebbe in un ambiente denso di cultura, in mezzo a quadri antichi e armature, un ambiente ricco di presenze divertenti ed eccentriche, come zie che passeggiavano nude nei parchi della proprietà e che leggevano i tarocchi alle amiche.
Ci sarebbero stati tutti gli ingredienti per la favola se non fosse stato che nel 1942, durante quella che lei chiamò “l’estate dei serpenti”, Nike venne abusata dal suo stesso padre. E non fu più la stessa.
Ci vollero 50 anni e una vita di terapie psichiatriche per farle confessare, in un libro autobiografico, quello che le accadde.
Da questo dolore Niki seppe far germogliare la sua arte. Piano piano però. Prima fu modella, moglie e solo dopo artista.
Il suo primo contatto con l’arte avvenne all’interno della clinica dove suo marito Harry Mathews l’aveva fatta ricoverare e curare: egli aveva capito che Niki nascondeva un segreto ma non aveva scovato quale e non era stato capace ad aiutarla. E così all’ospedale, per far passare il tempo all’interno della sua stanza bianca, Niki iniziò a tagliare, incollare, cucire, colorare qualunque cosa le capitasse sotto mano.
Dopo due anni, riabilitata almeno parzialmente, uscì dalla clinica e iniziò ufficialmente la sua vita da artista accanto a un nuovo compagno, creativo come lei, l’artista Jean Tinguely.
Le prime opere di Niki scossero profondamente l’opinione pubblica. Correva l’anno 1961 e iniziò a realizzare grandi installazioni artistiche a metà tra il quadro e la scultura, sulle quali poi scaricava colpi di fucile. La voce di questa artista che compiva performance tanto violente fece il giro del mondo e i galleristi, prima a Parigi e poi a New York, iniziarono ad invitarla ad organizzare mostre in cui anche il pubblico poteva sparare.
Negli anni a venire, quando poi riuscì a raccontare del suo trauma adolescenziale, di questi eventi che verranno chiamati “Tirs” o “Shot” lei stessa dirà: “Nel 1961 ho sparato su mio papà, su tutti gli uomini, sui piccoli, sui grandi, sugli importanti, sui grossi, su mio fratello, la società, la chiesa, il convento, la scuola, la mia famiglia, tutti gli uomini, ancora su mio papà, su me stessa”.
Le Nanas che tutti amiamo furono realizzate dopo il 1965: Niki fu ispirata dal ritratto che un amico artista aveva fatto a sua moglie incinta. Rappresentano la sua visione della donna che rinasce ed è allegra e trionfante.
All’inizio furono piccole, poi sempre più grandi e a volte scandalose: per il Museo di Stoccolma, su commissione, ne fece una di ventisei tonnellate, nella quale il pubblico poteva entrare e all’interno della quale si trovavano un cinema e un planetario. La posizione e l’ingresso nella statua ricordavano L’origine del mondo di Gustave Courbet.
Nel 1969 nacque a Ginevra la prime Nana fontana che grazie alla collaborazione con Tinguely che si occupò della parte meccanica, spruzzava acqua dai capezzoli.
“Dopo i quadri-tiri la collera era andata via ma restava la sofferenza. Poi è andata via anche la sofferenza e io mi sono ritrovata nell’atelier a fare creature gioiose, in gloria della donna.”
Niki fu travolta dal successo e non si risparmiò, lavorando alacremente con l’idea che le sue sculture potessero contribuire all’emancipazione femminile. Peccato che ignorasse che quello che stava respirando per costruire le sue Nanas, un mix di resine, colori, poliestere, la stava lentamente uccidendo.
L’ultima sua grande opera fu il Giardino dei Tarocchi, nato a seguito dell’incontro con Marella Caracciolo Agnelli che si entusiasmò al sogno di Niki di costruire in Italia un giardino monumentale sul modello di Parco Guell a Barcellona.
Il progetto ebbe inizio nel 1978.
Il parco è ancora oggi visitabile, dal 1°aprile al 14 ottobre di ogni anno e ci ricorda con le sue costruzioni folli e colorate come Niki abbia avuto la forza di salvarsi con l’arte. E di salvare un pochino anche noi, forse, se andremo a trovarla a Capalbio.
Diario Visivo ti regala tre immagini di Nanas da colorare.
Nella seconda e nella terza immagine ti abbiamo lasciato la libertà di provare a disegnare la fantasia dei costumi che indossano queste simpatiche donne. Sperimenta la tecnica che preferisci, anche il collage con carte colorate può essere un’ottima e originale soluzione. Guarda il video qui sotto e buon lavoro!
Ricorda: l’arte può farci stare meglio! Condividi questo piacere con chi vuoi tu! Qui trovi un altro laboratorio ispirato alle Nanas.
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Grande storia, di sofferenza ma con questa bella possibilità di riscatto attraverso l’arte e l’espressione di sè. Visiterò il parco in una delle prossime gite, con una sensibilità particolare. grazie!