Da quando ho iniziato a coinvolgere altre persone nella mia idea di arte, ho capito quanto potente sia il metodo del Diario Visivo. In gergo tecnico si direbbe che ho fatto metacognizione. Per un’insegnante e un’artigiana dell’arte come me, è naturale utilizzare il disegno come strumento di espressione per eccellenza e considerarlo di supporto al pensiero, alla creatività e all’immaginazione (e viceversa ovviamente). Non avevo mai valutato però, quanto importante fosse “lasciare una traccia” per gli “altri”, non avevo immaginato che “altri” avessero necessità di ritrovare la via del disegno e quindi non potevo supporre quanto il Diario Visivo sarebbe stato stato in grado aiutarli nella loro crescita personale, accompagnarli nel cambiamento.
Le persone con cui condivido l’esperienza del Diario Visivo mi hanno fatto capire con il loro entusiasmo, con la loro necessità di mostrarmi le pagine che hanno fatto, coi risultati raggiunti, che il piacere trovato nel potersi esprimere liberamente in uno spazio privato, è grande.
Il Diario Visivo è un viaggio, non importa il risultato ma il processo, non è necessario saper disegnare ma volersi mettere alla prova, sperimentare, provare: il disegno è un bisogno umano, antico, ancestrale. Alessandro Bonaccorsi ci ricorda che “disegnare è un atto necessario per l’uomo, che non ha niente a che vedere con il risultato ultimo: disegnare ha un senso molto profondo, perché sapere di potere lasciare una traccia è un antidoto alla coscienza della nostra impermanenza” (cfr. La via del disegno brutto, Terre di Mezzo 2019).
Impariamo a lasciare una traccia sul nostro Diario Visivo e partiamo con l’anamnesi artistica del sé.
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