Il quadro piรน famoso di Monet รจ senza dubbio โImpressione, sole nascenteโ dipinto nel 1872. A questo dipinto devono il loro nome gli impressionisti, quel gruppo di giovani pittori che, rifiutati dai Salon ufficiali, esposero le loro opere nello studio del fotografo Nadar. Era il 15 aprile 1874.
Tra tutte le opere di Monet perรฒ non รจ questa ad aver sempre attirato la mia curiositร : hanno invece sempre rivestito per me un interesse e unโammirazione particolare le sue โserieโ.
Dipingere lo stesso soggetto piรน e piรน volte ha qualcosa di straordinario, di fuori dallโordinario. Gli esseri umani, infatti, tendono per loro natura a stancarsi della ripetizione e proprio in questo risiede il segreto della creativitร umana. Monet tuttavia si sottopose continuamente, anche in etร avanzata, alla ripetizione di alcuni motivi. Perchรฉ? La storia dellโarte ci insegna che con le sue โserieโ di quadri dedicati tutti allo stesso soggetto, ripreso in diverse condizioni, egli aveva cercato di dimostrare come la percezione del mondo fosse mutevole al mutare delle stagioni, dellโora del giorno, delle condizioni metereologiche e cosรฌ via. E in effetti, stando a quella che era la poetica degli impressionisti, questa potrebbe essere una ragione plausibile.
Gli esempi piรน celebri di serie di Monet sono: I Covoni, realizzati a partire dal 1890; la Cattedrale di Rouen, dipinta oltre 50 volte tra il 1892 e il 1894; le ninfee dipinte oltre 200 volte fino alla sua morte.
Se per dipingere la Cattedrale di Rouen pare che Monet si sia veramente recato piรน e piรน volte di fronte allโedificio, affittando addirittura una piccola stanza in cui lasciare i propri materiali, iniziando piรน opere contemporaneamente in modo da poterne abbandonare una e continuare unโaltra quando la luce cambiava, ecco con la serie delle ninfee la storia รจ completamente diversa. Ed รจ per tale ragione che per questo soggetto non vale lโipotesi della ripetizione per spiegare la volontร di registrare le diverse impressioni.
Monet iniziรฒ a dipingere le ninfee dopo il suo trasferimento a Giverny, avvenuto nel 1883. Qui aveva acquistato una casa con giardino e iniziato la sua attivitร di floricoltore, dedicandosi a numerose specie floreali tra cui in particolare proprio le ninfee che egli adorava. Coltivare e dipingere erano per lui diventate due attivitร da svolgere contemporaneamente che gli consentivano di avvicinarsi al โveroโ.
Non mi sono mai occupata piรน di tanto di questa questione, o meglio, non lโho mai approfondita, finchรจ non mi รจ capitato sotto mano il libro City di Alessandro Baricco. Tra i protagonisti del libro cโรจ anche un docente di arte, il professor Mondrian Kilroy. Ed รจ attraverso di lui che Baricco ci fa riflettere su questa serie. E lo fa con la potenza delle neuroscienze. Perchรฉ quello che lโautore fa dire a Mondrian รจ quello che le piรน moderne neuroscienze ci insegnano. E cioรจ che se Monet dipinse tante volte le ninfee non รจ solo per dimostrare il variare delle impressioni soggettive dellโartista su un paesaggio. Anche perchรฉ, รจ bene ricordarlo, nelle oltre 200 versioni delle ninfee fatte da Monet ci sono quadri completamente diversi. Non si tratta di una serie come quella dedicata alla Cattedrale di Rouen. La serie fu iniziata attorno al 1897, probabilmente โalla impressionistaโ, con una pittura en plein air nel giardino di casa. Le prime opere sono molto varie per soggetto: con salice piangente e senza, ritratte a diversa distanza, con il ponte giapponese e senza. Ma a partire dal 1915 tutto cambiรฒ.
Ed รจ stato Baricco a farmi ragionare su questo. Tutto cambiรฒ perchรฉ nel 1915 Monet abitava a Giverny da oltre trentโanni. Da altrettanto tempo o poco meno lui aveva visto, ogni giorno, il lago delle ninfee che lui stesso aveva fatto costruire e che aveva curato. Trent’anni dello stesso spettacolo.
Bibliografia minima di riferimento. Testi di A.Brendt e D.Eagleman, T.Montanari e A.Baricco.
โRiferiscono le cronache che Monet in quei trentโanni passรฒ molto piรน tempo a lavorare nel suo parco che a dipingere: ingenuamente scindono in due un gesto che in realtร era unico, e che lui compรฌ con ossessiva determinazione ogni istante dei suoi ultimi 30 anni: fare le ninfee. Coltivarle o dipingerle erano solo nomi diversi per una stessa avventura. Possiamo immaginare che ciรฒ che aveva in mente fosse: aspettare. Aveva avuto l’astuzia di scegliere, come punto di partenza, una frangia del mondo in cui il reale si dava con un elevato grado di evanescenza e monotonia, prossimo a un insignificante mutismo. Uno stagno di ninfee. Da lรฌ, il problema era portare quella porzione di mondo a scaricare qualsiasi residuaย scoria di significato, arrivando a dissanguarla e svuotarla e dissiparla fino al punto da farle sfiorare la piรน completa scomparsa. Il suo deprecabile esserci sarebbe allora divenuto poco piรน che la presenza simultanea di assenze diverse, e svaporate. Per ottenere un simile, ambizioso, risultato, Monet si affidรฒ a un trucco piuttosto banale, ma collaudato – un marchingegno la cui devastante efficacia รจ testimoniata da qualsiasi vita matrimoniale. Nulla puรฒ diventare cosรฌ insignificante come qualsiasi cosa se ti ci svegli di fianco tutte le mattine della tua vita. Quello che fece Monet fu portarsi, in casa, la porzione di mondo che intendeva ridurre a nulla. Creรฒ uno stagno di ninfee nel preciso punto in cui gli sarebbe stato impossibile evitare di vederlo. (…) Si puรฒ dire che a ogni sguardo posato su quello stagno Monet si avvicinasse di un passo all’indifferenza assoluta, bruciando ogni volta residui di stupore e rimasugli di meraviglia. (…) Un giorno si svegliรฒ, uscรฌ dal letto, scese nel parco, arrivรฒ sul bordo dello stagno e quel che vide fu: nulla. Un altro si sarebbe accontentato. Ma รจ costitutiva del genio un’ostinazione illimitata che lo porta a inseguire i propri scopi con un’ipertrofica ansia di perfezione. Monet iniziรฒ a dipingere: ma chiuso nel suo studio. Nemmeno per un attimo pensรฒ di montare il cavalletto sui bordi dello stagno di fronte alle ninfe. Gli fu immediatamente chiaro che dopo aver faticato anni a fabbricare quelle ninfe, le avrebbe dipinte rimanendo chiuso nel suo studio e cioรจ confinato in un luogo da cui, per attenersi alla veritร dei fatti, quelle ninfee non poteva vederle. Attenendosi alla veritร dei fatti: lรฌ le poteva ricordare. E questo scegliere la memoria – non l’approccio diretto della vista – fu un geniale estremo aggiustamento del nulla, giacchรฉ la memoria – e non giร la vista – assicurava un millimetrico contro movimento percettivo che frenava le ninfee a un passo dall’essere troppo insignificanti e le intiepidiva con la suggestione del ricordo quel tanto che bastava a fermarle un attimo prima del baratro dell’inesistenza. Erano un nulla, ma erano. Finalmente poteva dipingerle.โ
Finalmente poteva fare le otto versioni delle ninfee che oggi possiamo osservare, in un’esperienza immersiva, a Parigi presso lโOrangerie. Tra tutte le versioni fatte da Monet, le ninfee de lโOrangerie rappresentano quindi un caso particolare. Si tratta di otto tele di grandi dimensioni, dipinte tra il 1915 e il 1926, alte sino a due metri e che complessivamente, sommando le lunghezze, superano i 90 metri. LโOrangerie, come suggerisce il nome, era un edificio destinato in origine ad ospitare gli alberi dโarancio del vicino Giardino delle Tuileries, durante lโinverno. Le ninfee sono esposte allโinterno di due sale di forma ovale e lโallestimento fu progettato dallo stesso artista con lโarchitetto Camille Lรฉfevre. Furono donate da Monet allo stato francese per festeggiare la fine vittoriosa della prima guerra mondiale.
Monet non potรฉ dipingere queste opere โdal veroโ, vista la dimensione delle tele, e le realizzรฒ allโinterno del proprio atelier nella casa di Giverny. Contrariamente a quello che uno studio superficiale di queste opere suggerisce perรฒ, non furono tanto le dimensioni a cambiare il modo di lavorare di Monet. Queste opere furono progettata a tavolino, come ci spiega Baricco e le motivazioni non sono legate semplicemente a una questione โpraticaโ. Il fatto di dipingere un soggetto che aveva a disposizione nel giardino di casa e il fatto di disegnarlo attingendo al ricordo, richiesero un approccio molto diverso dalla pittura en plein air. Un approccio che rappresentรฒ una nuova frontiera per Monet. Innanzitutto perchรฉ su di lui le ninfee non avevano piรน un effetto di meraviglia e lui probabilmente se ne era accorto. E poi perchรฉ scelse di lavorare sul ricordo. โMonet aveva bisogno del nulla, affinchรฉ la sua pittura potesse essere libera di ritrarre, in assenza di un soggetto, se stessaโ.
I ricordi spesso ci ingannano ma sanno mantenere una quota della meraviglia del primo sguardo sul mondo.
A conclusione di questo articolo riporto unโimmagine tratta da Brandt, Eagleman, La specie creativa. Lโingegno umano che dร forma al mondo.
โImmaginiamo di imbatterci in un oggetto nuovo, per esempio unโauto senza conducente. La prima volta che la vediamo il nostro cervello risponde in modo rilevante: sta assimilando qualcosa di nuovo e lo registra. La seconda volta mostra una risposta leggermente meno intensa. Non รจ piรน tanto interessato all’oggetto perchรฉ non si tratta piรน di una grande novitร . La terza volta la risposta รจ ancora minore. La quarta volta meno ancora. Piรน qualcosa ci รจ familiare, meno energia neurale spendiamo per elaborarla. (…) Perchรฉ siamo fatti cosรฌ? (…) Perchรฉ siamo esseri che vivono e muoiono grazie all’energia immagazzinata nel nostro corpo. (…) La mancanza di sorpresa ci infastidisce. (…) Siamo continuamente assetati di novitร .โ
Il nulla di cui parla Baricco รจ raffigurato perfettamente nel disegno del cervello esposto alla ventiquattresima ripetizione della stessa immagine.
Il nostro cervello ha bisogno di novitร : le immagazzina e poi attraverso il ricordo le combina con stimoli che appartengono al nostro passato e che sono in grado di generare novitร .
Se non cโรจ novitร il nostro cervello deve lavorare sul ricordo.
Le ninfee dellโOrangerie sono una spettacolare manifestazione dell’intuito del genio di Monet che in tempi lontani dalle recenti scoperte dei neuroscienziati, seppe attingere al ricordo per fare dellโarte qualcosa di nuovo, qualcosa che si avvicina molto alla pittura astratta dei pittori del Novecento.
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