Eccoci quindi giunti alla conclusione di questo percorso nel cervello creativo e nel Diario Visivo, sulle orme del grande David Eagleman e nel piccolo solco delle mie ricerche personali.
Nei precedenti articoli (prima parte e seconda parte) ho cercato di illustrare come e perché la creatività possa essere considerata propria della nostra specie, dove nasca e come sia stata utilizzata da grandi artisti e scienziati contemporanei.
Oggi vorrei presentarvi la mia ricetta per la creatività, fatta di soli tre ingredienti: provare qualcosa di nuovo; spingerci oltre i nostri limiti; non avere paura di fallire.
Provare qualcosa di nuovo
Frequentare posti nuovi, locali nuovi, gente nuova, cambiare genere di lettura, fare esperienze diverse da quelle a cui siamo abituati (dipingere se non lo abbiamo mai fatto, suonare uno strumento, provare a cucire, a cucinare, a montare un mobile, scrivere, eccetera) e documentare tutto ciò che ci attira, ci piace, ci stupisce, ci emoziona sul nostro Diario Visivo.
Gli input hanno bisogno di essere raccolti nel nostro cervello creativo ma anche documentati con testimonianze scritte e materiali: lasciare una traccia del nostro passaggio è una delle condizioni più umane che ci caratterizzano come specie.
Spingerci oltre i nostri limiti
E’ necessario abbandonare il percorso di minor resistenza, superare il limite della tradizione, del conosciuto, del confidenziale per aprirsi a input diversi: il numero di soluzioni che possiamo trovare a un problema, sarà tanto maggiore quanto maggiori saranno le nuove esperienze.
Anche se non sembra possibile, esplorare nuovi mondi può condurci a risolvere problemi vecchi e apparentemente lontani.
Non avere paura di fallire
La paura di fallire è uno dei limiti umani più castranti. Ed è un limite intimo, personale, che soprattutto negli adulti ha poco a che vedere con il confronto coi pari. Se nei giovani è normale avere paura di fallire e magari essere deriso, negli adulti questo limite deve essere assolutamente superato. Il fallimento è solo un ulteriore input. E va documentato. Solo così sarà possibile rifletterci, a freddo, da soli o magari all’interno di un percorso condiviso.
Il Diario Visivo è il luogo dove trovano spazio questi ingredienti e chi segue i miei laboratori sa quanto l’esercizio di una pratica artistica come questa possa alimentare la crescita e il cambiamento nella pratica della vita.