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Conservare nel Diario Visivo ciò che piace. L’anamnesi artistica del sé

Capita che presentando il mio Diario Visivo mi imbatta in persone che lo considerino alla stregua di una “Smemoranda” del XXI secolo: a questo serve introdurre fin dall’inizio il tema […]

Scritto da Federica Ciribì

Sono Architetto e Dottore di ricerca in Recupero Edilizio ed Ambientale. Sono abilitata all’insegnamento di “Arte e Immagine” e di “Disegno e Storia dell’Arte” presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e all’insegnamento di “Costruzioni, tecnologia delle costruzioni e disegno tecnico” presso l’Università degli Studi di Pisa.

Pubblicato il 13 Novembre 2019

Capita che presentando il mio Diario Visivo mi imbatta in persone che lo considerino alla stregua di una “Smemoranda” del XXI secolo: a questo serve introdurre fin dall’inizio il tema dell’anamnesi artistica del sé, per chiarire con un laboratorio ciò che questo grande e ingombrante sketchbook è e non è.

Quella dell’anamnesi artistica è una pratica che svolgo in maniera ricorrente nelle mie classi (almeno una volta all’anno) e ovviamente anche nei corsi per adulti, con modalità diverse e sempre da modellare sul gruppo.

Anamnesi artistica (6)

Ho preso questa idea da Cathy Malchiodi (cfr. Arteterapia, L’arte che cura, Giunti, pag. 58-59) e l’ho elaborata sulle esigenze che la composizione di un Diario Visivo propone a chi decide di tenerlo.
Tali esigenze sono evidentemente legate al bisogno umano di raccontarsi agli altri (cosa che facciamo continuamente) e di raccontarci a noi stessi all’interno del nostro Diario: la scrittura ed il disegno autobiografici infatti, fanno sì che il vissuto acquisti un senso. Oltre ad essere un essenziale strumento relazionale quindi, la narrazione di noi stessi attraverso le immagini che scegliamo e attacchiamo sul Diario rappresenta anche, e soprattutto, la via attraverso cui dare forma alla nostra identità.

Vediamo come può essere svolta l’anamnesi artistica del sé in una classe di una Scuola Secondaria di Primo Grado.
Ritengo importantissimo insegnare ai ragazzi a riflettere sulle proprie scelte, anche le più semplici, a partire da quelle estetiche.
Inizio la lezione chiedendo ai ragazzi con quale criterio scelgono i loro capi di abbigliamento. Le risposte sono ovviamente le più disparate ma quella che ricorre sicuramente con maggior frequenza è: “perché mi piace!”.
Faccio notare che questa risposta può essere anche una domanda molto curiosa e li invito a compiere una scelta. Metto a loro disposizione una serie di immagini in formato cartaceo ritagliate da vecchi libri, riviste, calendari, cataloghi e così via e gli chiedo di selezionare l’immagine che li attrae maggiormente, quella che vorrebbero conservare “per sempre” all’interno del proprio Diario visivo.

A questo punto gli chiedo di attaccarla sul Diario sullo sfondo che ritengono più adatto e di descrivermi perché hanno compiuto queste scelte. In questo lavoro i ragazzi devono essere guidati e per questa ragione io propongo un testo “tipo” da completare e personalizzare e suggerisco una serie di domande da porsi: amo le composizioni simmetriche o asimmetriche? colorate o bianco e nero? quale colore mi ha attratto? mi ha colpito maggiormente la tecnica o il soggetto? quale soggetto ho cercato mentre sfogliavo le immagini? quale significato assegno alla mia scelta? quello dell’immagine o uno più profondo? quali connessioni attiva nella mia testa questa immagine? mi ricorda un luogo? una persona? una situazione? perché proprio adesso ho avuto bisogno di scegliere questa immagine? e così via.

Il lavoro va svolto più volte e deve accompagnare i ragazzi nella loro crescita, di cui il Diario è testimone e che documenta.
I risultati sono sorprendenti anche per i ragazzi stessi.

Il momento della scelta dell’immagine infatti, è sempre solo apparentemente istintivo. Bastano poche domande e l’invito a fare riflettere le persone sulle risposte, per attivare importanti connessioni che ci aiutino a ritrovarci, dando forma alla nostra identità.

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