Diario Visivo non è il taccuino dello scrittore e nemmeno lo sketchbook dell’artista. Diario Visivo è un “metodo” per educare ed educarsi alla bellezza.
In quanto “metodo”, Diario Visivo ha finalità e obiettivi e non vanno confusi.
Le finalità del metodo sono trasversali e riguardano risultati complessivi, somma di diversi interventi, progettati per accompagnare il ragazzo e l’adulto nel proprio percorso di crescita e cambiamento e riguardano il benessere, la consapevolezza di sé, la scoperta e l’utilizzo dei propri talenti (per nominare i principali).
Gli obiettivi sono quelli esplicitati ai discenti e riguardano i cosiddetti comportamenti terminali attesi nel soggetto.
Come ogni altro metodo, Diario Visivo si avvale di una serie di “strumenti” pensati per il raggiungimento degli obiettivi e per la stimolazione del pensiero creativo.
Il fondamento teorico del metodo Diario Visivo, infatti, poggia sulla convinzione che tutti gli esseri umani siano dotati di creatività e che sia necessario aumentare gli stimoli visivi per favorire nuove connessioni tra conoscenze pregresse ed esperienze in atto, al fine di allargare gli orizzonti, superare i propri limiti e innescare positivi e consapevoli processi di cambiamento.
Gli stimoli visivi sono fondamentali in tutti i percorsi di crescita: quello visivo è il linguaggio più arcano, quello che, se siamo fortunati, ci appartiene per primo e per tutta la vita. Sia Sigmund Freud che più recentemente Edward De Bono, Antony Brandt e David Eagleman hanno evidenziato questo passaggio nei loro scritti.
Aumentando gli stimoli visivi si favorisce l’educazione alla bellezza: quest’ultima non corrisponde soltanto all’allenamento nel riconoscimento di cose e oggetti belli o che percepiamo piacevoli, non significa necessariamente insegnare a formulare una scala di valori e una gerarchia di giudizi (questo è bello, mi piace; quello non è bello, non mi piace), ma significa piuttosto educare alla sperimentazione di una dinamica personale che dalla percezione conduce all’elaborazione prima e all’interpretazione poi dell’io e del mondo. Significa educare alla sperimentazione della meraviglia.
Io credo che gli adulti in generale, e tutti i professionisti che si muovono nel campo dell’educazione in particolare, non possano fermarsi alla trasmissione e valutazione di conoscenze e competenze, ma debbano piuttosto favorire nei giovani la riflessione sull’io, stimolandoli a produrre meta-cognizioni che li aiutino a formarsi nella propria identità. Credo inoltre che gli adulti possano farlo meglio e in maniera più consapevole, ri-educandosi essi stessi: riappropriandosi del proprio tempo, dedicandolo al pensiero, ritornando a osservare, a leggere, a scrivere, a disegnare; sperimentando per primi la bellezza e la meraviglia, sino a diventare per i giovani adulti significanti.
Semir Zeki, celebre neuroscienziato dell’University College of London, ha dimostrato con TAC e risonanze magnetiche cerebrali che la radice oggettiva della bellezza esiste, è riconosciuta da tutti e si può trovare ovunque. Compito dell’adulto e dell’educatore non è solo indicare il percorso per il riconoscimento di tale “bellezza”, ma è anche suggerire la riflessione necessaria a distinguere tra essenza e manifestazione della stessa e spronare la ricerca nel quotidiano della corrispondenza tra bellezza e bontà: non si tratta di un nostalgico ritorno alla Grecia classica, ma piuttosto una riflessione su come il benessere di ognuno possa contribuire all’equilibrio del nostro sistema e alla riscoperta di una cittadinanza veramente “etica”. Dice Etty Hillesum nel suo celebre Diario: “Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso.”