Da giorni rifletto sull’urgenza di ritornare indietro, di riallacciare i termini “uomini e arte”.
Rifletto sul bisogno di diffondere il metodo Diario Visivo, sul bisogno di confrontarmi con altri docenti che come me avvertano la necessità di riprogettare la didattica dell’arte e di tutte le altre discipline, riportando l’uomo al centro. Rifletto in termini di un nuovo umanesimo dell’arte si potrebbe dire, perché ne avverto il bisogno, e soprattutto ravviso la necessità dei miei allievi, inconsapevole e taciuta, di raccontarsi e autodeterminarsi. Sì, autodeterminarsi soprattutto, darsi un senso, disegnarsi un confine e varcarne un altro, darsi una forma. Senza alzare la voce in Laboratorio per farsi sentire però, per attirare l’attenzione mia o di un compagno, senza dover trovare soluzioni ardite per farsi notare, senza dover apparire conformato. Darsi una forma. Autodeterminarsi.
L’autodeterminazione
Raccogliendo ricordi sul concetto di autoderminazione, ho ripensato a quando e a quanto questo concetto sia stato sbandierato, ho ripensato alle lotte per la libertà, per le pari opportunità, per una nuova identità. Ho ripensato agli anni ’70, alla mia infanzia, alla mia adolescenza. E mi sono domandata: come posso insegnare dunque ai nostri allievi a “vivere”? Come posso aiutarli a essere liberi senza eccessi, a essere unici senza privazioni, a disegnarsi senza copiare? E ancora: a raccontarsi con libertà, a conoscersi attraverso l’arte, a scrivere e disegnare per ritrovarsi?
Io credo che non sia un caso se mi sia capitato in mano in questi giorni un libro di carta da macero dove ho trovato importanti risposte a queste domande. Un libro degli anni ’70.
I libri di Arte e Immagine
Se è vero che io debbo, quale insegnante di Arte e Immagine, utilizzare l’arte per definire e indicare ai miei allievi le ragioni dell’essere, è altrettanto vero che in nessun libro di didattica dell’arte degli ultimi 20 anni (da quando io sono passata al di là della cattedra diciamo, per quanto io rifiuti il concetto di cattedra) ho trovato traccia di questo percorso. O almeno, non l’ho trovato nei libri che conosco e che mi sono stati proposti quali libri di testo.
I libri di Arte e Immagine sono orientati tutti verso l’apprendimento di tecniche, la conoscenza di contenuti e la trasformazione di quelle e questi in competenze che nulla hanno a che vedere con la crescita dell’uomo. Si spendono fiumi di parole per promuovere un nuovo tipo di conoscenza, verticale e trasversale; per incoraggiare la didattica personalizzata; per spingere verso compiti di realtà. E poi? E poi il senso sfugge. Perseverano lezioni preconfezionate, in versione large, medium e small come fossero vestiti da far indossare o cibi da acquistare a seconda della propria massa grassa. Perseverano esercizi rigidi, asettici, accademici, performanti.
Io scelgo di far crescere l’umano

A questa didattica dico “no”.
Dico “basta” scegliere al posto dei miei allievi: basta scegliere per loro l’argomento di cui parlarmi, il disegno da fare, la tecnica e il colore da usare.
Dico “basta” lezioni frontali per raccontare quadri che probabilmente non vedranno mai dal vivo. E che dal vivo non ho visto nemmeno io e che quindi non hanno “un vissuto” per me.
Dico basta e scelgo l’uomo. Scelgo di parlare di “Uomini e Arte” prima che di quadri e di sculture. Scelgo di far crescere l’umano. Scelgo di raccontare cosa ho provato entrando nella sala de “La Zattera della Medusa” al Louvre, mano nella mano coi miei figli. Scelgo di raccontare la storia degli uomini che hanno provato a salvarsi su una zattera e a raccontare che uomo meraviglioso fosse Gericault, così ribelle, alternativo, controcorrente. Così come loro. Scelgo di parlargli di Giotto bambino, quando “spinto dall’inclinazione della natura all’arte del disegno, per le lastre et in terra o in su l’arena disegnava alcuna cosa di naturale” e quando “Cimabue tutto meraviglioso lo domandò se voleva andare a star seco”. Scelgo di ripensare alla modernità del pensiero di Vasari, quando ci parla di Giotto in questi termini, raccontandoci la storia dell’arte attraverso la vita degli uomini che l’hanno fatta (Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Edizione integrale a cura di Maurizio Marini, Newton Compton Editori).

Scelgo l’uomo. Scelgo di far crescere l’umano. Scelgo di spiegargli la prospettiva aerea affacciati alle finestre, utilizzando le parole di Leonardo da Vinci; scelgo di insegnargli i colori facendogli sporcare le mani; scelgo di illustrargli l’architettura visitandola.
Scelgo l’uomo. Scelgo di far crescere l’umano. Scelgo di domandargli cos’è l’arte, cos’è la creatività, cos’è l’ingegno umano. Scelgo di fare scrivere a loro le definizioni, di farli riflettere sull’utilità dell’espressione umana sotto ogni forma.
Oggi “essere” nel mondo significa assumersi l’onere di salvarci e di salvare. Era già tutto scritto nelle prime 15 pagine di un libro di quaranta anni fa. “Uomini e arte” si intitolava.
“Le parole sono importanti” direbbe Marco Balzano.

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